Immagina il firmacopie di un libro che dura quattro o cinque ore. Dopo un po’, le dita dello scrittore cominciano a sanguinare, lui chiede prima del ghiaccio, poi dei cerotti, visto che ha macchiato di sangue la pagina bianca in cui stava scrivendo la sua firma. Si sparge la voce, si sente un brusio sempre più forte, il messaggio dei lettori è chiaro: Ognuno di noi deve avere la sua macchia di sangue personale accanto alla dedica. Quello scrittore, che si chiama Stephen King, poi, alla fine di quel firmacopie, avrà bisogno di essere portato quasi in braccio alla sua Lincoln Town Car, visto che faticherà a reggersi in piedi. Che significa tutto questo? Che il successo fa brutti scherzi? Che siamo tutti un po’ feticisti? Sinceramente non saprei, so solo che è una bella storia, e nel nuovo libro di Chuck Palahniuk, Tieni presente che (Mondadori), a metà tra un’autobiografia e un corso di scrittura creativa, ce ne sono tante così. 

“Se sei fermamente intenzionato a diventare uno scrittore, niente di ciò che dirò qui potrà fermarti. Ma se non lo sei, niente di ciò che dirò potrà renderti tale”, avverte l’autore. Si affida a un tono diretto, sincero, è come se leggessimo il monologo di uno dei suoi personaggi, individui eccentrici, strambi, pericolosi, quasi, ma da cui alla fine potremo sempre imparare qualcosa. Palahniuk ha iniziato a scrivere, o comunque a immaginare un mondo parallelo al nostro, in cui potersi rifugiare ogni tanto, da quando il padre per Natale gli ha regalato un dizionario. E prima di diventare uno scrittore, di potersi permettere di pubblicare un diario con “i momenti nella mia vita di scrittore che hanno cambiato tutto”, si è laureato in giornalismo, ha fatto il meccanico, il volontario per i senzatetto e per i malati nelle cliniche ospedaliere, per seguire poi un laboratorio di scrittura (“Dangerous Writing”) con Tom Spanbauer, che ha cambiato tutto. E in Tieni presente che, ci sono tutte le cose che Chuck ha ascoltato e imparato da quando ha iniziato a seguire quel laboratorio.

Quindi, care aspiranti scrittrici, cari aspiranti scrittori, ecco alcuni consigli che secondo Chuck Palahniuk, e anche secondo me, dovreste ascoltare prima di scrivere il vostro prossimo grande romanzo. Prima di tutto, bisogna pensare al lettore, che non deve mai sentirsi uno stupido. Ricordatevi sempre di attribuire le battute dei dialoghi, così che il lettore non si senta costretto a tornare indietro per capire chi sta parlando. I dialoghi non sono fatti solamente di parole, ma di gesti, di movimenti, di espressioni, non dimenticatelo mai. Nei momenti di silenzio, perché il silenzio c’è, anche nelle pagine, ricordatevi degli intercalari, di quelle parole strane, appena accennate, che la gente dice quando magari si sente in imbarazzo. Se c’è un’epifania, un fatto che illuminerà e cambierà tutta la scena, dovete far in modo che prenda forma prima nella mente del lettore, poco prima che arrivi sulla pagina. Non fate i brillanti, non state presentando la serata degli Oscar, non scegliete personaggi troppo colti, saputelli, meglio affidarsi a persone semplici, comuni, che però sono sempre pronte a stupire il lettore con i loro ragionamenti, con la loro visione del mondo. “Due persone non entrano mai nella stessa stanza”, diceva Katherine Dunn, quindi cercate di costruire dei personaggi credibili, che abbiano una storia alle spalle, una storia che giustifichi il loro punto di vista differente sulle cose. Come il miglior minimalismo comanda, evitate descrizioni inutili, riflessioni esistenziali retoriche che non portano da nessuna parte, concentratevi sull’azione, che “è di per sé autorevole”. A proposito di autorevolezza, tra quella di testa e quella di cuore sarà sempre meglio scegliere la seconda, aiuterà il lettore a sentirsi più vicino ai vostri personaggi. In un racconto, e soprattutto in un romanzo, devono esserci due elementi: l’orologio e la pistola. L’orologio è il modo in cui scegliete di scandire il tempo, attraverso un dispositivo riconoscibile (gli anni della scuola, una canzone che i protagonisti sentono nel tempo), la pistola è il fatto che cambia tutto, dopo cui la vostra storia non sarà più la stessa, che il più delle volte si colloca nella parte finale. Il vostro libro non è una tesi di laurea, non dovete dimostrare nulla, come dice Ira Levin, “sono i grandi problemi, non le soluzioni brillanti, a fare i grandi romanzi”. 

Per quanto riguarda il metodo, non c’è da preoccuparsi, non ce n’è uno universale. Palahniuk, per esempio, porta sempre con sé un quaderno dove si appunta delle cose, cerca di costruire i capitoli come se fossero dei singoli racconti, indipendenti dal resto, dopo rilegge, cerca i buchi narrativi, individua o inserisce le scene chiave, prova dei finali differenti. Quando il vostro libro verrà pubblicato, ricordatevi che nel vostro ritratto, che verrà messo in quarta o nel risvolto di copertina, non dovrete apparire troppo belli, o alle presentazioni sarete sempre circondati da persone deluse. E nel momento in cui incontrerete il vostro primo lettore, ricordatevi, come dice Sedaris, che sarà arrivato il vostro turno di ascoltare.   

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