Io da grande vorrei essere come Adam Sandler. Detta così, a quasi trent’anni, può sembrare una frase un po’ infantile, ma è una cosa che mi succede spesso con gli attori che mi piacciono. Con alcune attrici, invece, succede che mi innamoro subito, forse è per questo che vado a vedere tutti i film con Natalie Portman, anche quelli brutti. Ma con gli attori, ecco, succede che spesso mi immedesimo. Volevo essere Ryan Gosling in La la land perché sapeva come innamorarsi, Owen Wilson in Midnight in Paris perché sapeva come essere felice, Luke Wilson ne I Tenenbaum perché sapeva come essere triste, Jim Carrey in The Mask perché sapeva come essere se stesso. E sì, lo ripeto, io da grande vorrei essere Adam Sandler perché sa sempre come stare al mondo. 

Non ho avuto la fortuna di vederlo quando negli anni Novanta, quando si esibiva al Saturday Night Live, e meno male che su Netflix, da qualche giorno, è comparso 100 % Fresh, il meglio degli spettacoli che ha fatto ultimamente dal vivo, da grande, il ritorno alle origini dopo essere diventato una star, l’occasione ideale per scrivere questo racconto sentimentale su di lui. La prima volta che l’ho visto, la prima scena proprio, “Sandman” (così si fa chiamare lui) se ne stava nel letto, con la testa ficcata nel cuscino, di mattina, appena sveglio, a sentire il padre che per telefono gli diceva che lui si comportava ancora come se avesse sei anni. Il film si chiamava Big Daddy e Sandman lì faceva la parte di Sonny, un ragazzo molto pigro che campa di rendita dopo essere stato investito da un taxy, che non riesce mai a fare colazione da Mc Donald’s perché finisce alle 10:30 e lui non si sveglia mai prima delle 11. Da un giorno all’altro, la vita di Sonny viene stravolta. La fidanzata lo lascia perché lei vorrebbe una famiglia, dei bambini, una vita da adulti, insomma, e lui no, non ancora almeno, e quando Sonny va a trovarla a casa per parlarci la trova insieme al suo nuovo fidanzato, un settantenne che esce dal bagno sorridente, dentro al suo cardigan rigato marrone chiaro. “Ha già raggiunto traguardi importanti, è programmato per il successo, è ancora focalizzato, ha un piano quinquennale”, gli dice lei. “E quale sarebbe? Non morire?”, risponde Sonny. Ma soprattutto gli piomba a casa un bambino (che tra l’altro è Ben, il figlio di Ross in Friends, un po’ cresciuto) che non è suo figlio ma per qualche settimana lo diventa, che gli fa scoprire com’è prendersi davvero cura degli altri, preoccuparsi per qualcosa, vivere la vita dei grandi, degli adulti, senza smettere di divertirsi. Il bambino, insieme a lui, impara ad allacciarsi le scarpe, ad andare a scuola, a metter su una recita, ma anche a sentire buona musica, a sapere che i critici a volte sono in malafede, a giocare alla playstation, a fare la pipì all’aria aperta quando nessuno ti vede, a capire che ogni tanto capita a tutti di sbagliare, non è mai stata e non sarà mai la fine del mondo. Chi non lo vorrebbe un padre così? Chi non vorrebbe diventare un padre come lui? 

Da lì, da quando Sandler vestiva i panni di Sonny, il “papà speciale”, ecco, ogni volta che sapevo di un suo film in uscita era come se ci fosse una festa dentro di me, l’idea che avrei avuto un’altra ora e mezza o due in cui potevo distrarmi e sentirmi bene. Il perché? Forse perché con i suoi film ridevo, sì, ma senza cinismo, e una volta tanto nella vita ridevo ritrovando la parte migliore di me, quella più buona, più pulita, più felice, più umana. E anche perché, anche se si parlava di sesso spinto e si dicevano parolacce, i suoi film non erano mai volgari. Perché nel cast dei suoi film i suoi amici non mancavano mai, e nel logo della sua casa di produzione (la Happy Madison, che prende il nome dai suoi primi film di successo, Happy Gilmore e Billy Madison) compariva il faccione del padre, Stanley Sandler. E poi, perché i suoi film finivano sempre bene. Non c’è niente di male nel lieto fine, in fondo, anche la realtà è piena di persone belle e di storie che finiscono bene, quindi perché non raccontarle? 

Ecco che allora Sandman diventa Mr. Deeds, un pizzettaro del New Hampshire che scrive biglietti d’auguri e che diventa improvvisamente miliardario (Mr. Deeds). David, un ragazzo apparentemente tranquillo, che per un’incomprensione con una hostess viene affidato a un famoso psichiatra perché possa risolvere i suoi problemi di rabbia (Terapia d’urto). Henry, veterinario alle Hawaii, che un giorno s’innamora di Lucy, solo che lei, per un trauma cerebrale dovuto a un brutto incidente in macchina, si dimentica di lui non appena si addormenta (50 volte il primo bacio). John, un grande chef, che è costretto a tenere in piedi una famiglia in cui si parlano diverse lingue, in cui convivono diversi linguaggi, forse troppi (Spanglish). Michael, architetto, che cerca un telecomando capace di soddisfare tutti i suoi desideri, dalla serenità coniugale alla carriera (Cambia la tua vita con un click). E ce ne sono tanti altri, che magari hanno messo da parte le loro vite per un po’ e quando poi le cercano non riescono più a trovarle, come l’ex dentista Charlie (Reign over me) e l’ex musicista Danny (The Meyerowitz stories). 

Fatto sta che Mr. Deeds farà innamorare la giornalista più spietata d’America e riuscirà a conservare la vita che aveva prima che diventasse miliardario, David smaltirà la rabbia e troverà finalmente la sua identità, Henry registrerà una videocassetta che Lucy potrà vedere ogni giorno quando si sveglia per ricordarsi di come e di quando si sono innamorati, John lascerà il suo cuore alla bellissima governante messicana che è anche l’unica in casa che non parla la sua lingua, Michael con qualche click capirà che la famiglia sarà sempre più importante del lavoro. E anche Charlie e Danny ritroveranno piano piano le loro vite, il primo grazie a un amico di vecchia data, il secondo dopo aver ritrovato i suoi fratelli. 

E in tutte queste storie, vengono coinvolti attori come Jack Nicholson (il famoso psichiatra), Drew Barrymore (la smemorata Lucy), Winona Ryder (la giornalista spietata), Paz Vega (la governante messicana), Christopher Walken (la coscienza di Michael), Ben Stiller e Dustin Hoffman (della famiglia Meyerowitz), e registi come Noah Baumbach (il re dell’indie americano, compagno di Greta Gerwig, attrice fantastica e regista di Lady Bird) e Jason Reitman (regista di Juno e di Thank you for smoking). 

Ma torniamo agli spettacoli dal vivo, al 100 % Fresh appena apparso su Netflix. Sandman, sul palco, si presenta come i suoi personaggi, con indosso magliette e camicie larghe a maniche corte, felpe col cappuccio, bomber un po’ vintage, occhiali da sole fuori moda, e i soliti occhi luminosi, lampeggianti, quasi sereni, la solita faccia a forma di uovo. E ritroviamo anche quella vita leggera, un po’ goffa, dove non esistono istruzioni per l’uso perché può capitare di tutto, dove quello che conta è essere umani, dove puoi ridere sempre e quando poi smetti e ritrovi un’espressione più o meno seria, con le labbra orizzontali, dentro ti è rimasto un sapore di buono, l’idea che il mondo non sia poi così male. Sandman racconta di quando ordina mille libri su Amazon, che gli arrivano subito perché ha Amazon Prime, ma appena ne apre uno si distrae perché in fondo preferisce guardare la tivù. Che fa la pipì nella doccia, anche da adulto, e poi si sente in colpa perché lì si laveranno anche sua moglie e le sue figlie. Che chiede alla moglie se le va di provare il sesso anale, lei non sembra convinta, ma poi accetta perché lo ama, allora stringe la sua mano in un pugno e dice al marito Adam di girarsi. Scherza su quelli che quando ti invitano a casa loro poi ti fanno togliere le scarpe, e magari anche i calzini, come se prima di cena si dovesse pestare l’uva per la vendemmia. Ricorda l’unico momento in cui suo padre sembrava vulnerabile, quando si faceva la barba e scopriva le sue labbra finissime e le sue fossette intorno alla bocca. Sandman si traveste da rapper, si camuffa nella metro di New York e canta della nonna che è morta, che andrà al Bingo a prenderne un’altra per sostituirla, sperando che i nipoti non se ne accorgano. Poi canta una delle tante canzoni che ha scritto, perché sì, Sandman è anche un cantante, una canzone intitolata Conosciamo tutti un ragazzo, che comincia così: “Conosciamo tutti un ragazzo che si rade il petto, conosciamo tutti un ragazzo che sa molte cose sul caffè, conosciamo tutti un ragazzo che dice di essersi scopato la sua babysitter a dodici anni, conosciamo tutti un ragazzo che è migliore quando è fatto, conosciamo tutti un ragazzo che sta mettendo su una band, conosciamo tutti un ragazzo che dice di essere diventato un professionista, conosciamo tutti un ragazzo che abbraccia tua moglie cinque secondi in più”. E forse, adesso, conosciamo tutti un ragazzo di nome Adam nato a Brooklyn cinquantadue anni fa, figlio di un ingegnere e di un’insegnante d’asilo, che vive con la sua famiglia a Los Angeles, ama il basket ed è tifoso dei Knicks, e sembra capace di fare qualsiasi cosa. Ecco, io, da grande, vorrei essere come quel ragazzo.   

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